Gli interventi della Corte Costituzionale in tema di licenziamento
dopo la Legge Fornero ed il c.d. Jobs Act.

Gli interventi della Corte Costituzionale in tema di licenziamento
dopo la Legge Fornero ed il c.d. Jobs Act.

Come ben noto, la disciplina del recesso datoriale (rectius licenziamento) ha subito nel corso di questi ultimi anni sostanziali modificazioni con l’introduzione della L.28 Giugno 2012 (L. Fornero) e del d.lgs. 151/2015 più notoriamente conosciuto come “JOBS ACT”.
Detti interventi, sostenuti per lo più da chi considerava ormai superato e non più applicabile il rigido impianto dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, di fatto non hanno contribuito in alcun modo all’auspicata elasticità della domanda occupazionale. Anzi, a parer bene, la progressiva corrosione delle tutele dei lavoratori ha nel corso del tempo reso sicuramente più incerte le aspettative dei lavoratori, ben consapevoli che sarebbe stato “più facile essere licenziati” o quantomeno “più difficile conservare il posto di lavoro”.
Occorre brevemente esporre le sostanziali modifiche apportate dalle intervenute novelle affinché si possano comprendere le censure operate dalla Corte Costituzionale. In primis va detto che la Legge Fornero ha destrutturato l’originario impianto dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (che prevedeva un unico regime di tutele in caso di licenziamento illegittimo, ossia la reintegrazione nel luogo di lavoro) relegando al licenziamento ben 4 diversi tipi di tutela definiti “piena”, “attenuata”, “meramente obbligatoria” e “obbligatoria ridotta”. In termini più semplicistici, a seconda del vizio che affligge l’illegittimità del licenziamento, il Giudice applica la sanzione prevista dalla relativa fattispecie (che può variare dalla reintegra nel posto di lavoro alla corresponsione di un numero di mensilità) fermo considerato che l’insussistenza, formale e giuridica del fatto contestato comporta sempre l’integrale reintegra del lavoratore nel luogo di lavoro.
Ancor più riduttiva, invece, è stata in termini di tutele, la disciplina introdotta dal c.d. JOBS ACT ; qui si è assistito all’introduzione di un nuovo regime per tutte le ipotesi di licenziamento illegittimo destinato a sostituire la precedente disciplina in caso di assunzione del lavoratore dopo il 07 marzo 2015;
La reintegrazione nel luogo di lavoro è relegata a provvedimento residuale, potendosi applicare solo in poche e specifiche fattispecie, e più dettagliatamente:
• licenziamento discriminatorio a norma dell’art. 15 della Legge n. 300 del 1970 (art. 2, co. 1);
• licenziamento nullo per espressa previsione di legge (art. 2, co. 1);
• licenziamento inefficace perché intimato in forma orale (art. 2, co. 1, ult. parte);
• licenziamento rispetto al quale il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore (art. 2, co. 4);
• licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa rispetto al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore (art. 3, co. 2).

Fuori dalle suddette ipotesi invece è prevista per il lavoratore il pagamento di un’indennità compresa tra le 6 e le 36 mensilità, avuto riguardo come base di calcolo 2 mensilità retributive per ogni anno di servizio.
Quanto sinteticamente esposto è da ritenersi applicato ai soli lavoratori di cui allo stesso l’art. 18 della legge 300/70.
Orbene, questa serie di novelle intervenute nel corso del tempo non potevano sfuggire alle attenzioni degli operatori del diritto ( giuristi, avvocati, magistrati etc…) che, come per tutte le riforme che dir si voglia, si contrappongono in diversi indirizzi a volte sorretti principalmente da un filo ideologico .
Da qui, la lente del Giudice delle Leggi ha rivolto la sua attenzione al JOBS ACT a seguito del rinvio operato da diversi Tribunali ( ROMA, BARI rispettivamente con ordinanze n. 214 del 18 aprile 2019 e n. 235 del 9 agosto 2019, ) circa il dubbio di Costituzionalità dell’impianto delle “tutele crescenti”, nella parte in cui prevede una mera pre-determinazione algebrica delle indennità a titolo risarcitorio, da ritenersi lesiva dei diritti di cui agli artt. 3, 4 comma 1 e 35 comma 1 COST. Ed in infatti, come prevedibile, la La Corte Costituzionale, con sent. N.150 del 20 luglio 2020 ha dichiarato incostituzionale l’art. 4 D.lgs 23/2015 nella parte in cui prevede l’indennizzo pari ad una mensilità per ogni anno di servizio in favore del lavoratore in caso licenziamento affetto da vizio formale e/o procedurale(così ad esempio per il mancato rispetto della procedura ex art. 7 della l.n. 300/1970 nell’ipotesi di licenziamento disciplinare);
Peraltro, la Corte Costituzionale si è già pronunciata in precedenza con sentenza n.194/2018, riconoscendo l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1 del d.lgs. 23/2015 nella parte in cui si quantificava l’indennità risarcitoria in “ due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.
Per i Giudici della Corte Costituzionale, infatti, ai fini della determinazione dell’ indennità risarcitoria il Giudice del Lavoro non deve applicare un mero calcolo aritmetico, ma far riferimento alle dimensioni dell’azienda, al periodo di servizio, al comportamento delle parti nonché al numero degli occupati.
Parimenti attenzionata è stata anche la disciplina del licenziamento prevista dalla c.d. legge Fornero, nella parte in cui prevede (o prevedeva a questo punto) “ la facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo”.
La Corte, infatti, ha ritenuto ammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Ravenna che lamentava la violazione degli artt. 3, 24, 41 e 111 Cost. della predetta norma (comma 4 e 5 dell’art. 18 /300 ).
A questo punto, sarebbe auspicabile nell’interesse delle parti datoriali e dei lavoratori, che il legislatore in fase di lavori preparatori , si attivi proficuamente in una serie di consultazioni rivolte ad altri soggetti ( parti sociali, ordini professionali) al fine di evitare che le nuove norme siano inutilmente oggetto di censura.

Abg. Andrea Pagnotta*
• Abogado, collaboratore presso studio legale si occupa principalmente di diritto del lavoro, diritto di famiglia e penale .
• Autore di diversi articoli per la rivista diritto 24 de ”il Sole24ore”.

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